Cos’è la “Persona”? Secondo Carl Gustav Jung, la “Persona” è la maschera che indossiamo per affrontare il mondo. È il compromesso tra il nostro “io” più autentico e le aspettative della società. Non è qualcosa di negativo in sé: questa maschera ci permette di relazionarci con gli altri, di integrarci e di navigare nella complessità della vita sociale.
Il problema nasce quando iniziamo a identificarci totalmente con essa, dimenticandoci di chi siamo veramente. Quando lasciamo che sia la “Persona” a dettare le nostre scelte, i nostri pensieri, e persino i contenuti che creiamo. Ecco che si innesca un cortocircuito: ciò che dovrebbe essere un mezzo diventa il nostro fine.
Chi Sta Davvero Parlando: Tu o la Tua Maschera?
La “Persona” può essere potente, persino seducente. È la maschera che ci fa apparire competenti, saggi, sicuri. Ma quando diventa protagonista assoluta, il rischio è evidente: ogni gesto, ogni parola, ogni creazione perde autenticità e si trasforma in una ricerca spasmodica di approvazione.
“Guarda quanto ne so.”
“Accettami come guida.”
“Seguimi, perché io ho le risposte.”
Dietro queste parole non c’è autenticità, ma un bisogno insaziabile di validazione. È così che la “Persona” si alimenta, trasformando i creatori di contenuti in automi che producono per essere visti, per essere accettati. Il risultato? Un ciclo infinito di giochi di potere, dove chi ha “la conoscenza” si erge a guida e chi la cerca resta intrappolato nella sindrome da “oggetto luminoso”: la speranza illusoria che esista quel pezzo di sapere perfetto, quella pratica miracolosa che cambierà tutto.
Autenticità o Marketing Travestito da Verità?
Quando la “Persona” si appropria dell’autenticità, la trasforma in un mezzo per piacere ancora di più. Non siamo autentici, stiamo solo indossando un’altra maschera. La saggezza, l’introspezione, la vulnerabilità stessa diventano strumenti per consolidare il consenso, svuotandosi del loro significato originario.
Io lo vedo sempre online: tutti dicono di essere autentici, ma nessuno si ferma mai a chiedersi cosa voglia dire davvero essere autentici. È come se l’autenticità fosse un’etichetta da apporre a un prodotto, qualcosa da esibire per dimostrare quanto si è “veri”. Ma l’autenticità non è un hashtag, né uno strumento di marketing. È un processo, non un risultato. È un viaggio verso sé stessi, non una maschera più raffinata da indossare.
Quando Mostrare il “Brutto” È il Vero Coraggio
Purtroppo, anni e anni di televisione ci hanno insegnato che bisogna mostrare solo il lato “bello”, mai quello “brutto” e, in molti casi, nemmeno quello “normale”. Il mondo mediatico ha creato un ideale inarrivabile di perfezione, spingendoci a nascondere ogni imperfezione, ogni fragilità, ogni parte di noi che non si allinea a questo standard. Essere autentici, per come ci è stato inculcato, significa costruire un’immagine impeccabile, depurata da qualsiasi realtà scomoda. E così finiamo per perdere il contatto con chi siamo davvero, soffocando la nostra essenza in favore di un’immagine che non ci appartiene.
Essere autentici significa avere il coraggio di mostrarsi, non per piacere o per essere accettati, ma per il semplice fatto che non c’è altra scelta. Significa creare senza sapere se sarà apprezzato, parlare senza sapere se le tue parole risuoneranno, vivere senza aspettarti nulla in cambio.
La Strada Senza Mappe: Smetti di Seguire e Inizia a Perderti
La soluzione non sta nel perfezionare la maschera, né nel cercare un altro modello da seguire. Sta nel mollare la presa, abbandonare il “così fan tutti” e tornare a creare come pionieri. Questo significa lasciare spazio alla possibilità di sbagliare, di fallire, persino di avere successo senza perdere sé stessi. Non abbiamo bisogno di altre guide, mappe o percorsi illuminati da altri. Abbiamo bisogno di una strada senza indicazioni, di un percorso che ci permetta di perderci per ritrovarci, lasciando spazio al nostro “io” autentico di emergere. Non come strategia, ma come scelta radicale.

